restanza, rientranza, comunanza, transumanza

silia gala
4 min readJan 3, 2024

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Scrivi un articolo sulla provincia che incidentalmente esce il giorno prima di tornare in provincia per le vacanze natalizie. E quindi è inevitabile la messa a terra, la prova del nove, di quello che hai provato a teorizzare dalla città dove ti sei trasferita da qualche mese: perché potrebbe essere di aver preso un abbaglio, di aver peggiorato alcuni aspetti e averne edulcorati altri — anche se questo secondo caso non si dà quasi mai, a voler essere visceralmente onesti.
Fai il viaggio di ritorno e aguzzi lo sguardo quando cominciano a sfilare le case vuote attorno e accanto alla toponomastica più familiare: Osteria del Gatto, Fossato di Vico, Sigillo, Costacciaro, fino al valico dove l’intensità abitativa si dirada ulteriormente e non è difficile avere la sensazione di passare in mezzo a una valle di fantasmi e abbandono. Fabbriche dismesse, vetrine impolverate, orti incolti, case con le persiane rotte: poi giù dal valico si è già quasi sulla strada (provinciale? statale?) che fa a meno di passare in mezzo ai paesini e l’angoscia lascia spazio a guardare solamente il paesaggio. Eppure questo è il percorso al contrario, ovvero quello che ho fatto oggi — mentre invece tornare significa ridire tutti i posti di cui sopra al contrario, andando verso gradi di urbanità crescenti e felicemente spuntare nella zona industriale di Gualdo Tadino, avvicinarsi ai centri commerciali diffusi ai lati della Flaminia, superare la rotatoria principale del paese e andare a rintanarsi nella frazione a metà strada tra il paese di afferenza e quello confinante, dove la quantità di abitazioni torna a scendere. Ma quella è casa — o almeno, è casa di tua madre.
Poi una sera a cena, non molto distante dal giorno in cui decidi di metterti di nuovo a incaponirti sul tema — invece che identificarci con il lavoro potremmo, che so, identificarci con i temi che ci ossessionano? — , una persona sostiene che quello che ci vorrebbe in questo posto è un pub, sì un bel pub fatto bene, con le birre buone e il cibo del genere street food e sì insomma con molti posti al chiuso. E provi a controbattere che sì ok, bella l’idea, e però di bar e baretti effettivamente ce ne sono, e che legare sempre la vita sociale al consumare, al pagare, al dover spendere è un po’ ingiusto e allontana sempre la meta di una comunità raccolta intorno a qualcos’altro che non sia l’alcol. Per carità, io amo l’alcol e lo sposerei se solo si potesse, ma un certo moralismo politicheggiante dentro di me non riesce a non pensare a spazi sociali — di socialità, per meglio dire — sganciati dal dover bere a tutti i costi. ‘Provincia’ è anche quel posto nel quale quando prospetti un luogo simile ti viene detto che là non funziona, non funzionerebbe, non funzionerà. E ‘provincia’ è anche quel posto dove, dismesso il momento retorico-polemico, abbassi le difese e ti viene da dire che forse effettivamente anche tu la pensi così, e che è un peccato vero, ma è un po’ così.
Eppure con la testa stai sempre là, a contorcerti per comprendere — stavo per scrivere un avverbio odioso — come si sta nei luoghi. I dati, in questo, aiutano, certo; così come le letterature sul tema. Ma c’è bisogno di modelli per schematizzare.
La ricercatrice Giulia Sonzogno ha da qualche anno introdotto nel discorso sulle aree interne il concetto di ‘restanza’ e nel suo libro Voglia di restare, attraverso una ricerca quanti-qualitativa su un campione di 3000 giovani residenti nelle aree interne del nostro Paese, evidenzia tanto le opportunità quanto le difficoltà che la scelta, il desiderio di non partire comporta.
Mi viene in mente, a mo’ di appunto per chi se ne occupa in modo più serio di me, che a fianco a ‘restanza’ ci potrebbero essere altri modi per parlare delle traiettoria da e per la provincia.
rientranza: di chi torna obtorto collo. Non c’è desiderio in questo senso ma non c’è neanche una vita immaginabile nei centri urbani caratterizzati da un costo della vita più alto. Non c’è un progetto politico, ma solo la necessità di sopravvivere;
comunanza: di chi è di altrove ma in luoghi meno popolati progetta un tipo di vita comunitaria, basata sull’accogliere la natura come parte integrante della propria esistenza, sul popolare di eventi culturali le proprie settimane. Un modello endogamico, dove ciò che conta è la propria tribù di eletti;
transumanza: di chi per lavoro si reca presso un centro più grande ma ha la propria stabilità affettiva, abitativa, di intenti in un’area meno inurbata. Nella difficile sintesi delle due posizioni, non è semplice dire se si prenda il peggio o il meglio delle due. Città-dormitorio tipiche dell’hinterland milanese.

Oggi mentre tornavi qua, al Nord, hai pianto: un po’ di tristezza, un po’ di pienezza. È spesso così e quando non succede ti sembra di mancare a una ritualità che fa bene. Hai guardato il paesaggio pieno di vuoti, e sei tentato dall’immaginare a vivere ancora qua. A tutti i motivi per cui ci sei tornato quando c’era bisogno (il tuo bisogno) di farlo, a quando torni perché ne hanno bisogno gli altri, a chi lasci quando ti metti al volante, alle persone che crescono e che speri di non lasciare indietro — o che non ti lascino indietro. È pieno di vuoti ma è anche pieno di pieni e questo è il motivo di tornare a casa, una casa, fosse anche quella dei tuoi. E la testa sta sempre là ma anche qua, dove sei adesso: la sintesi è difficile e forse non esiste, il pianto scioglie nodi che razionalmente non trovano requie, il paesaggio cambia in modo fluido e dopo le colline, i tornanti, le gallerie arriva l’Adriatico; e dopo il mare le distese di frutteti intrise di nebbia — senza più quelle colline che più di ogni altra cosa segnalano: casa.

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